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      Bisognava allora addolcirlo. Io uscii dalla slitta e lo carezzai. Cesara fece altrettanto, ad un passo ove la slitta bilicava sur un baratro, ritenuta unicamente dalla trazione. Ella osò passare la sua mano sul grugno appuntito dell'orso. Ciò fu veramente magico.
      - No, sclamò Metek con un grido istantaneo, il vostro giovane fratello è una piccola sorella.
      Stupefatto da queste parole, io non trovai nulla a rispondere. Sorrisi.
      - Ciò è una grande fortuna ed un gran pericolo, rispose Metek. Vedremo.
      Infrattanto, la corsa dell'orso si regolava. Solamente, esso fermavasi di tempo in tempo, e volgeva la testa verso la slitta. A digiuno da dodici ore, noi osammo allora mordere un biscotto ed un lembo di carne salata, gelata.
      Viaggiammo così due giorni.
      Avevamo traversato sempre paludi gelate, boschi cedui quasi impenetrabili, montagne dalle creste frangiate, burroni irti, fiumi torrenziali d'estate, ora gibbosi, e scorgendo di lontano in lontano qualche yurta affamata. La terribile notte di trentotto giorni cessava alfine. Eravamo al 28 dicembre, e vedemmo all'orizzonte una luce, come l'alba del mattino, ma così pallida, che lo splendore delle stelle non era punto affievolito. Queste deboli apparizioni del sole rendevano il freddo più vivo, senza bandire i moroki, o nebbioni densi, prodotti dai venti del nord. Avevamo avuto rarissime notti serene. Dinanzi a noi si allineava una formidabile cortina di montagne, dietro la quale scorre la Kolima. Nella pianura sterminata elevansi delle colline più o meno alte, più o meno coniche e arrotondate a foggia di cranio.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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