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      La giornata era stata orribile. Avevamo seguito una valle profonda, nella quale l'Anadyr scorre, nell'estate, quasi incassato fra due argini fiancheggiati da rupi a picco, minacciose, e sporgenti.
      Intorno a noi si dondolava un vapore azzurrastro, che dava forme bizzarre alle rupi. Dall'alto di questi picchi, colle cime fantasticamente dentellate, slanciavansi delle cascate, ora rapprese dal gelo nel loro salto e formanti sulle costole del granito delle anse di diamante. La crosta del fiume presentava una superficie fortemente aggrinzata, quasi scompigliata. Verso sera, il vento si levò, e soffiò sì forte, che ci riescì impossibile dirizzare la tenda ed accendere il fuoco. I nostri denti battevano un galoppo formidabile. I cani sbranavano i resti della renna. Noi mordemmo un po' di pemmican. Un po' più giù, innanzi a noi, si apriva un gorgo, ove l'Anadyr si precipitava. La notte del 19 febbraio 1866 fu una delle più terribili del nostro viaggio, quantunque avessimo scavato un tunnel nella neve, ove, avvolti nelle nostre pellicce, ci eravamo cacciati.
      Sollecitavamo l'arrivo dell'alba per metterci alla ricerca del casolare indicato.
      Il tempo si ammansò. Si levarono anzi i venti tiepidi, e la temperatura si riscaldò. Un barlume di sole freddo colpito d'itterizia si avventurò all'orizzonte.
      Prima di partire però cercammo di un sito coperto, ove addossare la tenda a qualche pilastro di ghiaccio - non vi erano più alberi - , ed accendemmo un magnifico fuoco, che ci permise di avere un buon brodo, ove immergemmo qualche rimasuglio di biscotto.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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