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      La luce, stacciata dalle foglie, pareva coprire il suolo d'un bianco merletto steso sopra un panno verde. Dei raggi di neve scintillavano sulle alte cime, e niellavano d'argento il granito rossiccio degli erti picchi. Gli alberi immensi, qui scarni, là fronzuti, varii, oltraggiati dalla mano dell'uomo e del tempo, colti dal fulmine e squarciati dagli uragani, davano al luogo qualche cosa di fantastico.
      L'aere era imbalsamato d'un profumo indefinibile. La campanella attaccata al collo delle vacche e delle pecore - che nella state pascolano all'aria libera su questi monti - tintinnava da lontano, dall'altra parte della montagna, e riempiva l'animo di tristezza. Questo suono patriarcale risvegliava in me il ricordo del mio focolare, di mia madre, della mia innamorata. Lepri, volpi, conigli, cerbiatti, capriuoli, gatti selvatici, scappavano davanti i nostri passi. Il cuculo si lamentava stupidamente.
      Più noi salivamo, più il bosco diveniva fitto e spesso, e meno la luna vi penetrava, sì che io camminava a piedi, non potendo più restare a cavallo, a causa dei rami intrecciati che intercettavano il cammino. Tutto ad un tratto, nel girare un picco, che non avevamo asceso, fui sorpreso da un magnifico spettacolo.
      Dapprima una voce, uscendo non so da qual luogo, gridò: chi è là? chi vive?
      I due Albanesi si volsero verso di me, non sapendo che rispondere.
      - Viva la patria! gridai.
      Io sapeva che i soldati di Sua Maestà Siciliana non annidavano sì alto il loro coraggio e la loro devozione, e che questi imboscati non potevano essere che bande d'insorti, o briganti dispersi, cioè degli amici.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





Albanesi Sua Maestà Siciliana