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      Mi levai di botto.
      Carducci e gli Albanesi se l'avevano spulezzata alle due del mattino.
      Guardai a me d'intorno. Sugli spaldi della montagna, gli alberi magnifici della foresta come un esercito di giganti, e lontano, lontano, a traverso il colonnato delle betulle(47), scorsi come una coppa d'oro, tuffata nell'azzurro e corruscante come la clamide del monte Bianco - il mare. Restai una mezz'ora ad inebriarmi di questa armonia della natura. Poi Spiridione, il più attempato dei miei Albanesi, che sapeva tutto codesto a menadito, mi riscosse, presentandomi il mio cavallo allestito di tutto punto.
      Partimmo.
     
     
     
      III.
     
      Non avendo più nulla a fare in Calabria, pensai ritornare in casa di mia madre, in una provincia più centrale ove sono le nostre terre. Imboccammo dunque la via, la più corta e la più sicura, quella del mare. Io aveva delle conoscenze in questa provincia, che potevano, credevo, facilitare la mia fuga e sottrarmi ai realisti. La disfatta, o per dir meglio, la rotta, aveva in ventiquattro ore cangiati in realisti gli uomini i più ardenti della vigilia, e costoro raddoppiavano adesso di zelo onde farsi perdonare dal re il loro amoruccolo di un dì per la libertà. La guardia civica ed i gendarmi inondavano la contrada, tendendo contro noi delle trappole, mentre i patrioti di ieri si trasformavano in segugi. Ogni passo divenne un pericolo. Ma, per ventura, i miei ex-briganti conoscevano tutti i sentieri, che non son mica i sentieri di chiunque, e pur nondimanco sono i più belli. Ond'è ch'egli è incredibile quanti precipizi di queste montagne varcammo, quanti abissi costeggiammo sdrucciolando sur una terra sminuzzolata, quanti picchi scalammo, quante coste a scesa rapida e quasi perpendicolari scendemmo, quanti folti squarciammo a traverso felceti alti come selve cedue, quanti torrenti spumosi come vino di Champagne valicammo, quante corremmo di praterie belle come un paesaggio di Croop, di vigneti splendidi, i di cui frutti avrebbero fatto credere ai tropi della Cantica dei Cantici, di olivi grossi come vecchie querce dalle foglie verdi, sbiadite, verniciate da un lato, da un altro vellutate come il labbro superiore di una fanciulla, infine, quanti questa cavalcata di quindici ore ebbe di accidenti imprevisti, di varietà, di sorprese, di quadri incantevoli, di estasi, di pericoli.


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Le notti degli emigrati a Londra
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1872 pagine 346

   





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