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      E' non curava l'insurrezione del popolo, non il pericolo che correva l'esercito liberatore, non il massacro di tante vite. Godeva del trionfo; godeva dello sterminio dei nemici suoi. E non era sazio, non stanco di additare novelle vittime al supplizio ed alla proscrizione. La vittoria lo aveva ubbriacato. Viveva in un'atmosfera che tutto, umanità, religione, carattere gli faceva obbliare. Giunge a tempo Roberto per destarlo da quel sogno, o meglio da quel deliramento di sangue.
      - Santo padre, prende a dire il Guiscardo, è ora finalmente di far desistere da tanto eccidio, e partire.
      - Così presto! sclama Gregorio sorpreso e scontento.
      - Non è già presto, santo padre, risponde Roberto, gli è anzi tardi, forse troppo tardi perchè ci resti ancora scampo a fuggire. Non è momento di lusinghe adesso.
      - Fuggire, mormora Gregorio rizzandosi ed aggrottando le ciglia. Temereste voi forse questa sgualdrina di plebe codarda e venale, messer duca? Egli è impossibile!
      - Io non sono un testardo che ha perduta la ragione, santo padre, per dire che non temo nè gli uomini, nè Iddio, continua Guiscardo senza occuparsi dell'atteggiamento del pontefice. Io ho senso abbastanza per comprendere che, se resto a Roma solamente alcune altre ore, mi sarà tagliata la ritirata, ed il mio esercito ed io corriamo pericolo di essere passati a fil di spada. Ecco tutto. Il popolo è ammutinato; è corso alle armi. La disperazione muta in eroi anche i poltroni. È ora di partire.
      - Voi pensereste dunque?...
      - L'ho detto, di uscire di Roma senza indugio.


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Il re dei re
Convoglio diretto nell'11. secolo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Daelli Milano
1864 pagine 522

   





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