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      Nondimanco Enrico fu tenuto prigione e gli furono fatti oltraggi e contumelie da destare orrore. In quella lettera a Filippo egli ne annovera alcuni e soggiunge:
      «Per non dir niente degli obbrobrii, delle ingiurie, delle minacce, dei pugnali drizzati sulla mia testa dove io non facessi quanto mi veniva imposto, della fame e della sete che io soffriva pel ministero di gente che mi tornava ingiurioso vedere ed intendere; per non dire, ciò che era più doloroso ancora, che io altra volta era stato felice!»
      Pure, ridotto qual si vedeva a tale grado di miserie, gli venne fatto fuggire. Si rifugiò a Spira - nel tempio che egli sontuoso aveva fatto fabbricare alla Vergine, e dimandò al vescovo della città di accordargli di che vivere. Il vescovo si ricusò. Enrico soggiunse, che era ancor proprio a riempire l'officio di chierico, perchè sapeva leggere e servire il coro. Ma come anche quest'umile domanda gli respinsero, egli allora si volge agli assistenti e parla:
      - Ma voi almeno, miei amici, abbiate pietà di me. Vedete che la mano del Signore mi ha colpito.
      Nessuno risponde da prima, poi si ode un murmure sordo che egli era evaso di prigione e che bisognava rifarlo cattivo. A tale minaccia, malato, estenuato di fame e di sete, il misero monarca fugge e va a procurarsi rifugio a Liegi. Ma neppur quivi rimane tranquillo. Allora scrive a suo figlio:
      «Ma lasciatemi, per amore di Dio, vivere a Liegi, se non da imperatore almeno da uomo che vi ha cercato ricovero. Che non sia giammai detto, ad onta mia o piuttosto ad onta comune, che il figlio dei Cesari sia stato obbligato ad errar senza asilo nel tempo di Pasqua!


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Il re dei re
Convoglio diretto nell'11. secolo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Daelli Milano
1864 pagine 522

   





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