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      Ebbene quel garzone si fe' vescovo. Vostro padre, il beccaio, valeva bene, io mi penso, il mio che era sarto. Ed il figliuolo di quest'ultimo conosce ben altre cose che la teologia, e non rincula più davanti a nulla, nulla! per conquistare il suo posto al sole della vita. Addio, monsignore.
      - A rivederci, figliuolo mio, soggiunse il vescovo profondamente ferito dall'allusione del prete, ma sorridendo. Per facilitarvi il cammino, vado di questo punto, a raccomandarvi al ministro della polizia.
      - Monsignore, al disopra del ministro vi è il re.
      - No, bimbo mio, al disotto, brontolò il vescovo scrollando la testa; il re non governa, prega.
      Don Diego salutò ed uscì. Monsignor Laudisio lo fece chiamare. Don Diego ritornò.
      - Ascoltate, disse Monsignore, io non voglio spezzare la zattera sotto i piedi un naufrago senza offrirgli una tavola. Codesta tavola, eccola qui. Voi siete stato carbonaro. Voi siete adesso mazziniano ed unitario. Voi sapete molte cose. Voi conoscete gli uomini ed i progetti. Volete rendere servizio al re, alla chiesa, al vostro paese?
      - Ed a voi, monsignore!
      - Io fo il mio dovere, rispose il vescovo alteramente: io adempio l'articolo 19 del Concordato del 1818 che fa dei vescovi dei guardiani dell'ordine pubblico.
      - Monsignore, voi mi dimandate lì il vostro cappello di cardinale. Io ve lo rifiuto. Grazie dell'infame tentazione. Se io dovessi giammai divenire un Giuda, io non farei mai come quel povero calunniato di Galilea cui dicon venduto per trenta denari.
      Don Diego, partì senza salutare.


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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1874 pagine 387

   





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