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      Un impiegato alla lotteria abitava il terzo piano in compagnia di sua moglie, sei bambocci, qualche coniglio, molti polli e un cacatoes bianco che ripeteva tutta la giornata la famosa interiezione tanto usata dai romani, alla quale Benedetto XIV voleva annettere l'indulgenza plenaria, e cui io non oso scrivere. Il secondo piano era vuoto.
      Eccetto Don Gregorio, tutti gl'inquilini fecero visita al nuovo venuto, quattro o cinque giorni dopo il loro arrivo, secondo l'uso napolitano di quei tempi. Otto giorni dopo, Don Diego restituì la visita, e si cessò di vedersi, limitandosi tutti a scambiare un saluto quando s'incontravano per le scale.
      L'alloggio di Don Diego componevasi di due camere da letto, un salone, un gabinetto scuro ed una cucina, che serviva altresì di sala da pranzo. Le mura erano state tinte a terra gialla in colla forse vent'anni innanzi. Il suolo era a quadrelli; il soffitto a travi coperti di carta gialla a gigli turchini. Dei piccoli vetri anneriti dalla polvere oscuravano le finestre, ed i ragnateli tenevano luogo di cortine. Tutto ciò aveva l'aria sinistra e gocciolava la tristezza e la solitudine. Un romito vi poteva pregare; un malfattore scannare e fondere moneta falsa.
      Al piccolo mobilio portato di provincia, Don Diego aggiunse alcune sedie, un vecchio canapè coperto di tela di crine e borrato di pietre, una tavola, un vecchio stipo, una mensola a mezza luna, verniciata nero, a marmo bianco smussato. Don Tiberio diede il consiglio di allogar su quella mensola i busti in gesso del re e della regina, e di appendere in qualche angolo del salone un gran Cristo, ch'e' gli somministrò. Bisognava mobigliar quella camera per ricevere la polizia ed i messi dell'arcivescovo di Napoli, e, per conseguenza, alla convenienza di costoro.


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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1874 pagine 387

   





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