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      - E chi mi darà codesta parola d'ordine? domandò Don Diego.
      - Io, disse Don Lelio.
      - E voi, signore, da chi la tenete, voi?
      Questa dimanda, forse inattesa perchè audace nella bocca di un subalterno che parla al suo superiore, turbò Don Lelio.
      Don Lelio era paglietta. Egli aveva avuto non so che baruffa con la polizia, a causa di un processo di ladri, nel quale egli era risultato un po' manutengolo.
      Dopo di allora aveva giurato, diceva egli, un odio a morte al governo dei Borboni, al dispotismo, alla polizia, alla chiesa che aiuta la polizia, alla magistratura che è instrumento docile dell'una e dell'altra. Si era intromesso tra i liberali ed era divenuto una specie di gallo dell'alba, cui alcuno non avrebbe osato sospettare.
      Bell'uomo del resto, faceto, generoso, gran mangiatore, gran libertino, forte al bigliardo, ripetitore di bei motti, conoscendo tutti, conosciuto da tutti, non avendo nemici, troppo famigliare, gradasso a parole, paterno all'occorrenza, senza rancore verso i giudici di cui si faceva volentieri l'agente o il depositario delle mance a toccare dai litiganti dopo aver guadagnato il processo. Egli era l'agente corruttore di quell'eterna prostituta che addimandasi magistratura. I clienti s'indirizzavano a lui per arrivare a colpo sicuro al commissario relatore del loro processo o al consigliere influente nella votazione.
      Oltracciò, quarant'anni, marito di una moglie brutta, padre di famiglia orrida. Figura aperta, grassona, ben rasa, a doppio mento, bocca sorridente, occhio penetrante, intelligenza svelta, ateo rimpinzato di una messa al dì.


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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1874 pagine 387

   





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