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      Ciò che questo monello guadagnava, se guadagnava qualche cosa, lo spendeva di nascosto, sia per andare a vedere i pupozzi di Don Gabriele al teatro di Donna Peppa, sia per pagare il vecchio che raccontava sul Molo le avventure di Rinaldo e di Bradamante, sia per comperarsi di quelle stomachevoli leccornie chiamate franfellicchi. Il pane era dunque tutto a carico della povera donna.
      La quistione degli abiti non fu mai una quistione per Gabriele. La natura avendolo provvisto di una magnifica capigliatura nera, come gli augelli del cielo sono provveduti di piume, Gabriele non aveva bisogno di coppola. Le belle lave del Vesuvio, che lastricano le strade di Napoli, avendogli indurito l'epidermide dei piedi, come gli animali erranti, egli non sentiva la necessità delle scarpe. Il freddo del clima di Napoli non essendo intenso, un giubbetto non era indispensabile. Egli è vero che il pudor pubblico, checchè ne abbia scritto lady Morgan, non avrebbe tollerato che egli andasse attorno senza camicia e senza calzoni. Ma che quel pantalone non arrivasse che fino al ginocchio, che i suoi squarci a bocca aperta lasciassero vedere ciò che avrebbero dovuto nascondere, che quella camicia fosse un cencio così pittoresco come i deliziosi stracci dei cialtronelli di Murillo, poco importava. La morale pubblica era salva, la società pudica soddisfatta; la coscienza della gente caritatevole restava quindi senza rimorsi. La nettezza poi era affare di Gabriele. Quando la sua biancheria era sporca, egli la gittava al mare.


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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1874 pagine 387

   





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