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      Ella avea allora compreso il despotismo come fatto, ma il suo spirito non si era fermato a scandagliare il despotismo come diritto. Di guisa che ella brancolava in un caos ove i principii si urtavano ed ove il compromesso delle idee monarchiche costituzionali le sembrava poco sicuro ed illogico. La sensazione è sempre più logica che la riflessione. Non conoscendo al giusto ciò che i patrioti volessero, ella non si passionava per loro, e non pesava per conseguenza l'atto cui andava a compiere in vista puramente di un interesse di famiglia. Se ella avesse meglio capito, si sarebbe certamente astenuta. No; ella non avrebbe giuocato il suo onore, la sua vita, i destini d'Italia, come le aveva detto il P. Piombini, contro qualche mese, sia pure qualche anno di prigionia di suo fratello. L'ignoto la terrorizzò.
      Bisognava nonpertanto agire. Bisognava ad ogni costo giungere fino al re. Ella aveva dapprima pensato di rivolgersi alla regina. Ma aveva udito parlare con tanto risentimento contro la durezza, l'albagìa, la cattiveria di quell'austriaca, sì fatale ai Borboni di Napoli, che Bambina si spaventò di trovarsi alla presenza di lei. Preferì il re, cui dicevano più accessibile, assai pio, plebajuolo. Ma in che modo prendervisi? Ella ignorava come si dimandassero le udienze: in ogni caso prevedeva d'istinto che anche ottenutala, quell'udienza, l'audizione sarebbe stata ritardata. Ed infrattanto suo fratello soffriva e la sua sorte si decideva forse. Una parola, cui colse al volo in una conversazione degli amici di lady Keith, le servì d'ispirazione.


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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1874 pagine 387

   





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