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      Di guisa che, uscendo, S. E. l'accompagnò fino all'anticamera, cosa inaudita!
      Per un caso bizzarro, monsignor Laudisio aspettava nel salone l'udienza del ministro. Gli sguardi dei due vescovi s'incrociarono.
      Monsignor Laudisio, che conosceva di già la nomina di Don Diego e la designazione spontanea del re, impallidì. Si fece violenza nonpertanto, sorrise, ed andò incontro al suo antico prete scomunicato ed interdetto. Don Diego gli tagliò il passo; lo salutò del cappello e passò oltre dicendo con un sorriso di scherno:
      - Grazie, monsignore!
      Don Diego non si faceva la minima illusione su i sentimenti ostili del re e sul cangiamento che subirebbero presto quelli del ministro. Ma egli non se ne preoccupava più. Ciò che aveva visto a Roma, ciò che aveva saputo sulla situazione del regno e dell'Italia, ciò che aveva appreso sullo stato d'Europa, gli davano la speranza che la crisi scoppierebbe subito. Allora, nè il ministro nè il re non sarebbero più temibili.
      Da lungo tempo egli aveva accomodato il suo avvenire e carezzava il fantasma che aveva costrutto. Egli gitterebbe la sua guaina di prete come lo avevano fatto Sièyes, Fouché, Talleyrand, Chabot e tanti altri in Francia: egli si addirebbe alla politica, tuonerebbe in un giornale ed alla Camera, - perocchè egli aveva penna e parola di fuoco, - egli s'imporrebbe. Il trono episcopale era un gradino. Egli vagheggiava in questa novella vita, - la vita politica, - tutte le voluttà dell'orgoglio soddisfatto, della potenza esercitata. Egli si sentiva la tempera di rompere gli ostacoli, - perfino le reticelle invisibili che tendono i mediocri intorno alle nature superiori.


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Il re prega
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1874 pagine 387

   





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