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      Ma quella non era che l'espansione di animo esulcerato troppo, impeto d'ira involontario e non preparato di guisa alcuna. La rivolta di Calabria, capitanata da un Domenico Romeo, caldo amatore di libertà e nemico acerrimo del Borbone, fu piuttosto una manifestazione: fu, diciam così, l'araldo che s'inviava al nemico per prevenirlo del combattimento che si andava ad impegnare. Il nostro era un armeggiare legale, avevamo coscienza de' nostri diritti.
      Senza armi, senza munizioni, senza appello antecedente della nazione alla solenne protesta, senza aver neppure passata una parola di ordine, senza aver concertati né modi né tempi, senza attendere neppure che tutti i soldati accorressero alla bandiera, una parte dei liberali calabresi inalberò lo stendardo tricolore santificato dal sangue de' Moro e dei fratelli Bandiera. Il grido di libertà da essi elevato fu una fiamma che si appiccò a tutti i cuori, ed al 1° settembre trovò sì nobile eco in Messina. Viva Pio IX, fu la frase prestigiosa che chiamò i popoli alla vita novella, perché quella frase compendiava tutto. Quella frase era un insulto gittato sul viso al governo borbonico il quale aveva dichiarato il papa scellerato e sacrilego. Quella frase significava riforma del governo, libertà, indipendenza d'Italia. Quella frase, per le masse orbe, santificava il principio della rivolta, promulgava un governo elettivo ed italiano, prometteva il regno dell'uguaglianza del vangelo, della sovranità del popolo. Pio IX era il simbolo della resurrezione d'Italia; non quale l'aveva intesa un filosofo, le cui triste visioni han fatto tanto male alla Penisola, ma come l'intendeva un popolo che, dopo avere espiato tanti secoli di gloria e di fortuna, domandava di assidersi al banchetto delle nazioni, sovrano di sé come l'anima, uno come il cattolicismo, ed indipendente.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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