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      Egli riformava o creava una guardia nazionale: disarmava i tristi e gli avversi: dava le armi ai più ardimentosi ed ai liberali: aggiungeva alla sua coorte un altro branco di uomini, e progrediva. Gli agenti del governo allarmati dal procedere incessante che egli faceva, gli spiccarono contro incontanente un grosso corpo di soldati, artiglieria, cavalli e cacciatori. Ma non potendo né l'artiglieria né i cavalli manovrare nelle montagne, la fanteria in quanti scontri sostenne fu messa in dirotta completa. Queste novelle, propagate dovunque, giunsero a Napoli. Era quello il tempo per la seconda volta di dare addosso ai Borboni e disinfettarne il paese: ma il Comitato che nulla aveva preparato, determinò provare ancora una manifestazione. A tanta fiacca balordaggine, era inevitabile che il governo non avesse infine compreso, restargli ancora un residuo di forza, potere ancor far valere un sovvenire dell'antico prestigio. Ma la Provvidenza volle salvarci. Il Comitato aveva domandata una manifestazione pacifica: gli uomini più decisi si ammutinarono e risolsero che sarebbero venuti fuori armati per resistere e vender cara la vita, se il governo li avesse attaccati. Il Comitato contromandò l'ordine della manifestazione: ma il De Simone, che veniva a significarlo, giunse troppo tardi. La gioventù lo respinse indignata, e tenne fermo. Quanto si potesse ottenere, per rassicurare il terrore del Comitato, fu che non si sarebbero adoperati i fucili, i quali per vero erano in assai piccolo numero.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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