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      Non vi era altro scampo che innalzare sulla torre del Palazzo lo stendardo rosso e segnalare ai castelli di bombardare la città. L'artiglieria schierata già accostava il fuoco alle micce, ma le schiere dei giovani che procedevano non si ritrassero di un pollice. Replicò l'intimazione, e coloro ripeterono il grido: viva la Costituzione, accennando la coccarda tricolore che portavano sul petto onde additare dove dovessero puntar le mitraglie. A quella vista Statella impallidì, e smettendo ogni fierezza, credette opportuno non obbedire al comando del re: colla sua sciabola scostò il braccio di un artigliere che stava per dar fuoco e comandò alla cavalleria di abbassare le armi. Poi con parole dolci, con propositi e modi soavi, prese a carezzare la folla, e magnificando la bontà del re, calmava l'irritazione, udiva i voleri, e seguìto da alquanti dei suoi lentamente penetrava nel centro della moltitudine. Ne andò così dalla piazza della Reggia a quella della Carità, volgendo incessantemente gli sguardi ai balconi stivati di gente che continuava senza posa a sventolare i fazzoletti e gridare viva la Costituzione! Egli non fu avaro delle sguaiataggini officiali di moderazione, di ordine e di speranze.
      Promise inoltre che puntualmente avrebbe riferito al re i desiderii dei suoi fedeli sudditi: che avrebbe interposta la sua mediazione per renderli soddisfatti: che il re aveva animo inclinato a clemenza e bontà. Quelle scipitezze stereotipe non contentarono alcuno, molto più che avendogli il Trinchera presentata la coccarda tricolore, rifiutò decorarsene.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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