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      Quando il principio monarchico aveva ancora una vita ed un valore, quei diritti equivalevano ad una conquista, e bene stava tenervisi fermi e vantarsene. Ma oggi non trattavasi più di aver un padrone piuttosto indigeno che straniero, piuttosto di questa che di quella casa; trattavasi non averne affatto. Non trattavasi di restituire l'autonomia alle differenti provincie d'Italia; trattavasi di ricomporre l'Italia una ed intera quale era uscita dalla mano di Dio. Non trattavasi di avere una costituzione octroyée nel 1812 piuttosto che nel 1848; trattavasi di far sorgere dal seno del popolo quella forma di governo che meglio gli fosse piaciuta, guarirci radicalmente delle schifose piaghe della monarchia, e delle difformità sociali che seco trascina. La rivoluzione italiana ha avuto funesto successo positivamente perché non ebbe dal bel principio un'idea fondamentale spiccata e larga, e non se ne fece il programma fedele. Gli spiriti restarono indecisi: i partiti sorsero, e quindi la fatal vanagloria di farli trionfare: le ambizioni cominciarono a travagliare, le suggestioni occulte a calunniare; ed allora sino il principio vitale della indipendenza e dell'unità d'Italia fu distornato, fu affiacchito, fu creduto chimerico ed impossibile. E questa è la sventura suprema che Italia non perdonerà giammai a quel ristucchevole sofista di Gioberti. Ma il primo attentato, bisogna dirlo alto, fu del Comitato siciliano. Esso non ha certo ben meritato dell'Italia. Era assai miserabil cosa caldeggiare ancora affetti municipali, ed aprire il varco ad odii funesti dall'accorgimento dei padroni infiltrati nei servi per domarli ed impedirne la coalizione.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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