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      E chi vorrà compatirli? Queste facili vittorie inaridivano la parte meno saggia dei cittadini, senza rischiararla.
      Lo spirito rivoluzionario aumentava, la rivoluzione niente affatto. La guardia nazionale, benché molto tenera della propria dignità, non comprendeva la sua missione, e si abbandonava sovente ad atti o arbitrarii o abbietti.
      I suoi capi cercavano forviarne lo spirito. Essa non difendeva il popolo, lo conteneva: non comprendeva la libertà, la comprometteva: lungi dall'appoggiare i diritti della nazione, custodiva le prerogative reali, e serviva come sostegno del governo. Era questo l'andamento che i capi nominati dal re le davano, ed essa vi soggiaceva tacendo. Scrollata però la Gibilterra del dispotismo, l'Austria, il malcontento universale prese forma e consistenza. Si sapeva oramai ciò che si voleva, e ciò che si voleva imperiosamente domandavasi. La burla era durata troppo. La nullità e l'infedeltà del Bozzelli non erano più un mistero per alcuno: il pubblico disprezzo lo cacciava via. La tristizia del re e della corte era irrefragabilmente documentata: dovevano quindi o emendarsi o uscire. Infatti re Ferdinando teneva pronti i suoi tesori sul battello a vapore il Tancredi, che, sotto le mura della reggia, aveva il fuoco sempre acceso per partire al primo segnale. L'alterigia della guardia nazionale, e parecchie perfide dicerie avevan diviso in due campi la borghesia ed il soldato. Si cercò invano conciliarli, si cercò invano rischiarare gl'illusi: le parole fratellevoli respingevansi, calunniavansi le rimostranze severe.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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