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      E così per una delicatezza intempestiva erano allontanati dal campo di battaglia ottomila uomini i quali, non ripugniamo ad asserirlo, sarebbero stati ottomila eroi. In effetti in nessun corpo lo spirito di libertà fecondò meglio che in quello, e lo dimostrò nel tristo giorno del 15 maggio. Il lungo esercizio di despotismo gli aveva forse fatta odiare la tirannide. Il ministero però cedette alle dimostrazioni dei liberali, e cominciò dall'allontanarlo dalla capitale, per quindi ricompaginarlo sotto altro nome, con altri elementi, sopra altri principii.
      Il re vedendo che l'opera rivoluzionaria del ministero progrediva indefessa, se ne allarmò, e mise tutto in pratica, per infermarne e paralizzarne il corso. All'eccellente ministro della guerra, Del Giudice, oppose una specie di Comitato estraneo ed incostituzionale, il Comando generale dell'esercito. Questo teneva testa al ministro, ne contromandava gli ordini, ne annullava l'efficacia, e spesso si opponeva nettamente. Al ministro degli affari stranieri, l'egregio Dragonetti, a quello della giustizia, a quello dell'interno, il puro e nobile uomo Raffaele Conforti in cui cuore ed intelletto sono eminenti, a tutti gli altri ministri infine oppose la rutina, l'inerzia, il malvolere di funzionarii pubblici o inetti o ribelli; e dopo averli stancati nelle lotte da casuisti del Consiglio di Stato, in cui mai nulla conchiudevasi, dopo averli messi alla disperazione con ostinatamente e sistematicamente resistere a qualunque proposta, li faceva assalire da uno sciame di vespe impuro e mortale.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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