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      Neppure un solo ha una conoscenza qualunque delle idee morali e religiose oltre quelle che insegnano loro dei preti fanatici, ignoranti e corrotti, luogotenenti del commissario di polizia. Tutta la religione di quella gente si compendia in far l'elemosina alle anime del purgatorio ed all'indispensabile san Pasquale, ed in recitare un pater che non è né italiano né latino. Tutta la loro società si restringe nel circolo dello sbirro, del prete e del re. Il rimanente è tenebre o sacrilegio. Perciò sono disgustevoli, grossolani, terribili: e se non rubano ed assassinano ogni giorno, gli è perché temono della polizia e dell'inferno. Perciò hanno un aspetto selvaggio, e minaccevole, un misto di cinismo e servitù. La sofferenza li ha induriti: la superstizione li ha resi bestiali ed intolleranti. La vendetta inviluppa le anime loro. Essi sentono di non partecipare alla festa della vita che per le privazioni e le umiliazioni. Sentono la loro degradazione morale e fisica, e vi s'imbragano più addentro, onde rendere per sempre invarcabile l'abisso che li separa da una società madrigna e crudele. Essi vedono di non potersi emancipare giammai dalla miseria: nell'avvenire non apparisce per loro nulla che possa consolarli e sollevarli da quella gemonia. Rompono perciò con l'avvenire qualunque legame capace di addolcire la loro sorte, ed addiventano rassegnati fino alla noncuranza, fino all'infingardaggine. Ma la loro rassegnazione confina con la disperazione: la loro pigrizia è un oltraggio ironico alla civiltà che li ha così freddamente obliati.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





Pasquale