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      Lo avevano chiamato fino allora Napoleone, lo avrebbero chiamato d'allora in poi Carlomagno. Si tuffa quindi fino al collo nel maneggio della spedizione: e se per giungere ai soldati francesi non fosse stato d'uopo passare di presso a Roma, credo avrebbe rivocato a sé il comando in capo della crociata. Faceva sogni incantati! Mette dunque in piedi quanti reggimenti potette impunemente ritirare dalla superficie dello Stato, militarmente occupato e tenuto in assedio, li dispone a scaglioni lungo la frontiera romana, e da Napoli alla frontiera, onde assicurare la ritirata, e seguìto dalla gendarmeria, perché il gusto del birro non lo abbandona mai, e da tutti i reggimenti della guardia reale, passa i confini. La guardia reale aveva fatti i prodigi contro le femmine ed i fanciulli di Napoli nel 15 maggio: chi avrebbe dubitato che là non avesse fatto altrettanto e peggio con quei poltroni romani? Assume dunque il comando e tira diritto a Velletri, devastando, giusta il costume, e saccheggiando il paese che traversava. Il triumvirato romano, alle prese con i francesi e gli austriaci, lo lasciava fare; ma firmato l'armistizio con Oudinot, cercò profittarne per attaccarlo. Egli veniva innanzi con dodicimila uomini fiero e gaudioso, sperando giungere a tempo per entrare da trionfatore nella città eterna, giusto un paio di ore dopo che i francesi vi fossero entrati. Ed ecco che la novella dell'armistizio gli arriva. Si crede tradito, ed ordina di ritorcere strada immediatamente e tornare indietro.


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La rivoluzione di Napoli nel 1848
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
pagine 212

   





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