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      - Jour-de-dieu! come mi martirizzi questa mane.
      - Quarto infine....
      - Infine, infine, atqui non è buono a nulla, ergo egli è buono a esercitare la medicina. Ecco come la pensava appunto un tamburo del mio reggimento che restò in Egitto a far il dottore. Andatene, dunque, a tutti i diavoli tu e tuo figlio e fanne pure un carnefice, che ciò m'è indifferente. Io non ho più nulla da insegnargli. Gli ho dato le ultime lezioni di intrepidezza, di disinteresse e di onestà. Ho finito. Felice notte. Avrei voluto vederlo soldato. Tu invece dici: medico. Impiccatevi dove volete. Del resto, hai forse ragione. Il soldato ora fa concorrenza al gendarme. È uno sbirro. Addio.
      Il sergente si sforzava a parere volgare, pedante e ruvido, per non eccitare l'invidia, e quindi le denunzie de' suoi maligni compatriotti alla polizia ed al vescovo.
      Parlando dunque così, egli fece un saluto alla bottiglia che era sulla tavola e ne tracannò una golata.
      Poi misurò un calcio per di dietro al barbiere, lo spinse fuori e si pose a gironzare su e giù per la sala, zufolando. Pareva commosso.
      Nel frattempo mastro Zungo, contento delle approvazioni del maestro di scuola, andò a raschiare gli altri suoi clienti, annunziando dappertutto la vocazione che aveva scoperta in suo figlio. Poi, a mezzo giorno tornò a casa,
      In pari tempo arrivava Bruto, duro duro, tutto di un pezzo, tranquillo come un dio Termine, col viso sporco, un pacco di libri e di carte sotto il braccio, col naso rosso e la testa coperta da un berretto di carta a due corna, sopra il quale stavano scritte le regole dei gerundi e dell'ablativo assoluto, che aveva portato via ad un condiscepolo.


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Il sorbetto della regina
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1890 pagine 267

   





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