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      - Comincio a capire, disse Bruto.
      - Era chiaro come il sole, ma convieni che nè tu nè io non ci avevamo pensato. Fuina ha aperto ed è entrato. - Aspetto qui? gli chiesi. - No, vieni con me, ha risposto. Voglio provarti che quando Fuina promette, mantiene. L'usciere lo conosceva; abbiamo traversato un cupo corridoio, pieno di filze vecchie e polverose e siamo entrati in un gabinetto che stava in fondo di esso.
      - Eccomi, signor conte, ha detto Fuina, levando rispettosamente il cappello ad un ometto mingherlino, pallido, con una vocina sottile e le maniere di una dama, pieno di urbanità e di cortesia.
      - Ho ciò che vi occorre, ha risposto il conte alzandosi e andando verso un canapè, su cui si è assiso ed ha fatto sedere Fuina. Io restai in piedi.
      - Così va! esclamò Bruto, un povero diavolo, che ha l'abito bucato, non deve aver l'impertinenza di esser stanco. Ritto sulle zampe, cane!
      - Ebbene! t'inganni, disse don Gabriele; il conte mi ha chiesto se le notizie che venivano a cercare m'interessavano molto, ed, avendogli io risposto di sì, mi ha indicato una sedia vicino al canapè, m'ha fatto sedere e da quel momento non ha più parlato che a me. E devo soggiungere che quella specie di ripugnanza, che mi era sembrato di scorgere in lui quando parlava a Fuina, spariva quando s'indirizzava al suo umile servitore. Non era più il superiore: l'uomo della polizia che parla ad un agente inferiore: era il gentiluomo che rende un servigio ad un povero diavolo.
      - Il vostro conte, se non è un conte, non resterà al suo posto, caro don Gabriele, con questi principii.


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Il sorbetto della regina
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1890 pagine 267

   





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