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      Ti lascio mio erede. Sii economo. Ho raggranellato alcuni scudi a forza di litanie: non divorarli con delle ballerine o delle bagasce. Raccomando la mia anima a Dio, il corpo a te. Don Gennaro ti farà un paio di calzoni colla mia sottana nuova: manda la mia veste da camera a mio padre, mangia qualche volta delle lumache ma con discrezione, perchè sono esse che mi uccidono.
      - Giammai! esclamò Bruto, le detesto come la polizia.
      - Fatti restituire dallo spazzino della chiesa un asciugamo nuovo ed un fazzoletto con tre buchi che gli ho prestato. Tutto viene in acconcio ed ogni cosa ha il suo tempo. Il parroco ha il Cristoforo Colombo del Ciarlone; riprendilo e leggilo tu che ti occupi di teatro. È un capolavoro. Il parroco quando è sazio lo trova sublime.
      - Vi obbedirò.
      - Abbandona il dottor Tibia; è peggio del coléra.
      - È cosa fatta.
      - Ti raccomando Tartaruga. Tu non puoi farle la buona compagnia che le ho fatto io per quindici anni, ma non la maltrattare, povera donna! È la creatura la più idiota e più religiosa di tutta Napoli. Pagami una necrologia del giornale l'Omnibus; tutti si prendono questo piacere postumo.
      - Ve lo prometto.
      - Recita i sette salmi penitenziali una volta al giorno e non dimenticare il tuo povero zio, che ti ha amato tanto.
      - Tartaruga! Tartaruga! chiamò Bruto.
      - Eccomi, signore. In questa casa non si ha neppure tempo di dire il rosario.
      - Tartaruga, corri dal parroco, la comunione, gli oli santi.... un confessore....
      - Sta cheto, disse don Noè. Ho vissuto cinquant'anni di coteste mercanzie!


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Il sorbetto della regina
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1890 pagine 267

   





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