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      Bruto era artista.
      Non andava mai di sera alla farmacia quando vi si riuniva la solita compagnia in becco-al-vento. Il notaio, il vecchio impiegato, il possidente, il tenente della guardia urbana del battaglione del quartiere, il cavaliere don Martino, che arrivava dalla provincia, don Luciano, che scriveva le sciarade dell'Omnibus, il vecchio scapolo, che girandolava tutto il giorno per la città.... tutta questa gente andava a fare un paio di orette di conversazione alla farmacia, ciascuno portando il suo contingente di ciarle; conoscendosi tutti e tutti pieni di creanza e di attenzioni reciproche.
      Quantunque ci fosse stato a guadagnare, trovandosi in contatto di una compagnia così variata, Bruto non andava alla farmacia che di mattino, fra le dieci ed il mezzogiorno. A quell'ora il lavoro era sempre pressochè terminato ed egli poteva conversare col suo compatriota. Poi, un po' prima del mezzogiorno, il colonnello veniva a prenderlo e rientravano insieme al tocco pel desinare.
      Da due giorni, Bruto vedeva arrivare alla bottega una giovane cameriera, dagli occhi agli agguati, la taglia alla grazia di Dio, il nasino in aria. Quando entrava, era una rivoluzione. Toccava tutto, voleva spiegazione di tutto, i minuti le parevano ore. Non si ristava dal dare del tu all'uomo serio serio che preparava i medicamenti; canzonava questi e quegli, dirigeva la parola al primo che capitasse e, a chi l'interrogava, rispondeva innanzi sentire la fine della domanda.
      Bruto ne aveva subita una grandinata, il primo giorno, avendo avuto l'inaccortezza di lagnarsi che la gli avesse camminato sui piedi; poi un'altra, la seconda volta, perchè ella aveva trovato ch'egli occupasse mezza la porta d'ingresso.


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Il sorbetto della regina
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1890 pagine 267

   





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