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      - Ebbi con Cecilia un colloquio. Mi trattò da potenza conquistata. Ma codesta sua fierezza sedusse me, figlio del popolo. Mi ricordò tutte le condizioni che io aveva già accettate. Le dimandai i sentimenti d'una sorella.... Io vi odio!... la mi rispose. Ahimè! ciò fu la mia sventura. Se la m'avesse amato, forse l'avrei disprezzata. La sua resistenza, oltraggiandomi, umiliandomi, mi esaltò. L'uomo è fatto così: la sua essenza è elastica. Il matrimonio fu fissato. Un prete del mio paese, della cui secretezza ero sicuro, ci sposò una sera in una cappella. Quattro ufficiali svizzeri, come se si fosse trattato d'un duello, furono i nostri testimoni e firmarono il contratto. Cecilia si presentò all'altare vestita a scorruccio. Il conte e gli Svizzeri avevano il sigaro alla bocca, e lo stomaco pieno di liquori. Il prete palpava le dieci piastre che aveva ricevute ed il suo viso irraggiava.
      Io era grave e triste. Uscendo dalla chiesa, il padre, la figlia, gli Svizzeri andarono a cenare dal conte; io rientrai e piansi.
      Bruto non osò dire alla principessa tutta la verità: egli amava già Cecilia.
      - Perchè piangevate, dunque; non eravate voi che l'avevate voluto?
      - Non avevo avuto la forza di resistere e di oppormi. Non vedevo il male. Non trovavo di gualcito in tutto ciò che il mio cuore ed il mio onore. Il torrente travolgeva un uomo che non sapeva nuotare. Era colpa mia! Ma non è di ciò ch'io mi pento. Sono stato punito. Ciò che mi rende infame agli occhi miei, ciò che ha infangata la mia vita ed ucciso il sorriso che cantava nel mio giovane cuore, è la mia complicità nelle combinazioni del conte.


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Il sorbetto della regina
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1890 pagine 267

   





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