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      L'uomo, che aveva veduti tanti campi di battaglia, ebbe paura di trovarsi fra gli artigli della polizia. Imperocchè l'uomo onesto aveva sempre paura, sotto i Borboni, di trovarsi là, dove ei lasciava talvolta l'onore, sovente la libertà, sempre la borsa.
      Gli sbirri, che hanno sempre perspicacia, immaginandosi che il colonnello, colla sua gamba di legno, potesse aver l'idea di scappar via, gli si serrarono intorno e gli misero le manette - o piuttosto una manetta - attaccando il suo unico braccio all'unica sua gamba con una corda. Poi, siccome non si deve mai prendere precauzioni a metà, quando se ne prendono, strinsero la corda con tanta previdenza che la gli penetrò nelle carni.
      Il colonnello lasciò fare senza profferire un lamento.
      Arrivati al corpo di guardia, lo gettarono in un buco orribilmente fetido e formicolante d'insetti, ove non poteva tenersi nè in piedi, nè coricato. Se il colonnello avesse conosciuto il confessore del re, o se avesse potuto mandare una bella donna dal ministro di polizia, se avesse potuto disporre di una borsa ben gaudiosa (che è sempre più efficace delle indulgenze plenarie), il suo atto d'accusa si sarebbe trasformato in un panegirico. Ma non avendo nulla di tutto ciò, restò alla segreta con quel manicherino che non era per fermo di tela d'Olanda.
      Per esser giusti, diremo che il commissario di polizia del quartiere, Silvestri, era un uomo eccellente. Non aveva che due minimi difetti: era collerico e credeva che chiunque avesse bazzicato la Francia, da presso o da lontano, fosse carbonaro ed ateo.


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Il sorbetto della regina
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1890 pagine 267

   





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