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      Il principe ereditario disse una parola al ministro della giustizia, il quale ne disse un'altra al presidente della Corte. Il giorno dei dibattimenti giunse. Don Terenzio, prima di recarsi al tribunale, assicurò il conte che il processo era guadagnato, e gli ripetè tutte le ragioni legali che gl'inspiravano tale fiducia. L'ora di arringare suonò.
      La sala era zeppa; l'aspettativa indicibile; la curiosità eccitata al più alto punto. Don Terenzio principiò la sua difesa.... Ohi sventura! l'ansietà gli cagiona come un'apoplessia d'idee. S'imbroglia, balbetta. Una specie d'angina lo soffoca. Uno spossamento cerebrale annienta la sua scienza legale, oblitera tutte le ragioni del suo cliente.... La causa è perduta.
      Il conte d'Altamura, sua madre, la giovine sua moglie sono ridotti alla miseria. Il feudo comperato col loro denaro è loro tolto.
      Da quel momento don Terenzio fu celebre.
      Tale era il personaggio a cui l'ambasciatore di Francia confidava la difesa del colonnello, e che tenevasi ora al capezzale del suo cliente.
      L'entrata di quell'uomo nella prigione parve un avvenimento. Una immensa curiosità si destò fra i prigionieri. Tutti vollero vedere il lion del fôro napoletano: questi per il semplice piacere di contemplar la sua persona, quegli per chiedergli un qualche consiglio. L'abate solo non si mosse dal suo posto e non gli diede neppure uno sguardo.
      In fine la siepe dei prigionieri si allargò ed il cliente e l'avvocato si trovarono in presenza l'un dell'altro.
      Parlavano in secreto da dieci minuti, quando un ruggito di tigre echeggiò dalla parte in cui l'abate fumava placidamente.


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Il sorbetto della regina
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1890 pagine 267

   





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