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      Fu un lampo, in minor tempo che il tuono non metta a seguire la folgore. A questo grido di morte, scappato dal petto dell'abate, l'avvocato si volse. Non ebbe nè il tempo d'impallidire, nè la facoltà di gridare, nè la forza di fuggire. L'abate gli stava sopra.
      - Grazia, conte d'Altamura, gridò don Terenzio.
      L'abate gli conficcò tre volte un coltello nella gola, poi rispose con voce divenuta calma adesso:
      - Il conte d'Altamura non è il re.
      Egli fece, quindi, risonare il calcagno del suo stivale sul cranio dell'avvocato, leccò qualche goccia di sangue spruzzato sulla mano, gettò il coltello nel mezzo del dormitorio e si ritirò tranquillamente al suo posto, soggiungendo:
      - Al presente, non mi resta più nulla a fare in questo mondo. La mia parte è compiuta.
     
     
     
      CAPITOLO XI.
     
      Il conte d'Altamura.
     
      Dopo un simile omicidio, si sarebbe dovuto traslocare il conte d'Altamura in una carcere più severa. Si limitarono a sbrattar via il cadavere dell'avvocato ed a fare all'assassino un predicozzo di mansuetudine. Il conte mandò a tutti i diavoli il predicatore e diede i suoi ordini ai carcerieri.
      La sera egli dava una festa. Invitò tutti gli aguzzini dello stabilimento e le loro famiglie. Fece illuminare(23) il dormitorio con candele di cera; ordinò dei rinfreschi di ogni sorta e in grandi proporzioni ed una cena squisita. Pregò poi il carceriere in capo, che suonava il violino, di venir a fare un po' di musica con tre altri prigionieri, di cui uno suonava il flauto, l'altro la chitarra, ed il terzo il mandolino.


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Il sorbetto della regina
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1890 pagine 267

   





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