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      Tassai del cinque per cento le paghe, per i fondi delle vedove, degl'invalidi, degli infermi. Appo di noi il pauperismo ed il proletariato era abolito. Così organizzata, la società novella prosperò, al punto che la nostra repubblica aumentava tutti i giorni ed era già più popolosa di quella di San Marino. Degli uomini di tutte le classi e di tutte le condizioni ci indirizzavano domande di ammissione e di neutralizzazione, di guisa che se la cosa fosse durata ancora, fra quattro o cinque anni avremmo avuto uno Stato più considerevole di quello del duca di Modena e forse dello stesso granduca di Toscana. Un affare magnifico, che avevo intavolato, venne a mettere in sospetto il governo.
      - Più bello ancora che gli altri? dimandò il carceriere in capo, al quale questo racconto faceva venire l'acquolina in bocca.
      - Giudicatene, disse il conte.
      V'era allora un canonico dell'arcivescovado, il quale ci aveva fatte delle proposte per essere ammesso nel consiglio d'amministrazione della società. Costui era il tesoriere stesso del tesoro di San Gennaro. Mediante la promessa di accettazione della sua domanda, ventimila ducati di benvenga e la sua parte di benefizi, io lo aveva persuaso di darmi licenza a lanciar nella circolazione quell'immenso deposito di ricchezza improduttiva, che si chiama - Tesoro di San Gennaro. - Credete voi che il cranio tarlato d'un buon diavolaccio, il quale professava, vivendo, il principio della povertà evangelica, abbia bisogno di tanti diamanti, di tanto oro, di tanto argento e di quella corte di settanta ad ottanta statue colossali di santi in argento?


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Il sorbetto della regina
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Treves Milano
1890 pagine 267

   





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