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      - Andate ad invitare il cancelliere - ordinò il dottore - e fate il festino per bene.
      Il cancelliere accettò di balzo e giunse all'albergo.
      E quest'uomo non aveva sul viso che occhi e peli; poi, un gobbo alle spalle, un piè più corto dell'altro. E' non rideva mai. Un libro sudicissimo faceva capolino d'una delle tasche della sua giacca.
      Egli salutò sommariamente il dottore: la vista dell'imbandigione l'abbacinava.
     
      La cena non fu guari allegra.
      Messer lo scriba ingollava pietanze su vino e vino su pietanze. Il dottore assisteva, con noncuranza, al riempimento di quell'imbuto, aspettando il momento d'intraprendere il suo affare. Imperciocchè, non pretendiamo fare un mistero non aver egli invitato quel baratro per il piacere della di lui compagnia. Alle frutta, il momento gli parve propizio. Il degno uomo piangeva di tenerezza.
      - Voi non siete mica ricco, l'amico, mi àn detto - sclamò il dottore.
      - Lo sarò - rispose il cancelliere sfolgorante. Io non mi stancherò. O' un terno, che in tutte le giuocate rasenta l'uscita, e che mi avrebbe prodotto di già due ambi se io li avessi giuocati insieme. Ma, io vo' tutto, signore; tutto o nulla. Io lo spio, questo scellerato terno; e' verrà fuori, infine: ne son certo.
      - E se io vi dessi dei numeri più certi ancora, eh! Meglio ancora che codesto: se io vi dessi dei numeri che usciranno senza neppur averli giuocati? Che ne dite?
      - Peste e paradiso! signore... io direi... che voi vi burlate di me.
      - Io non mi burlo giammai di alcuno. Io non scherzo mai.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440