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      Ella era completamente vergine d'anima, benchè il suo linguaggio, i suoi gesti, fossero bruttati dalle memorie di quella vita senza pudore, nè ritegno propria degli zingari. Il dottore non le fece mai un'osservazione - sapendo che con le nature, ove l'immaginazione predomina, l'osservazione è improficua e l'esempio è tutto. Nel medio dì un mondo nuovo, parlando un altro linguaggio, con altri costumi, Regina - calcolava il dottore - si eleverebbe immediatamente al medesimo diapason, e la damigella del mondo metterebbe senza pietà all'uscio la gitanella - senza aver bisogno di sermoni di morale, farla arrossire, sopra tutto farla pensare sul bene e sul male - ciò ch'è sovente pericoloso.
      Il bene è di rado attraente, è mestieri ricordarsene.
      Giunti a Napoli, il dottore spogliò Regina dei suoi cenci molticolori. Però, quando la vide azzimata da damigella civile, e' ne restò scompigliato.
      Regina era brutta!
      La disarmonia dell'attillamento aggiungeva abbellimento alla beltà rudimentale della gitana. Ora, l'armonia del vestito rilevava l'incoerenza, l'incompiuto, l'abrupto di quella leggiadria. L'occhio, inoltre, non aveva ancora trovato quel termine medio che si addimanda abitudine, e che è la linea di congiunzione ove gli estremi s'incontrano e le asperità scompaiono.
      Imprigionata in gonne inamidate, in busti, in cerchi di balena e di acciaio, le trecce composte, il capo inquadrato in un cappellino rosa - ella che era bruna, stretta, stecchita, Regina aveva l'aria stupida, imbarazzata.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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