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      Non sapeva pių nč camminare, nč sedere, nč parlare, nč muoversi. Si dibatteva goffamente come un pesce tirato dall'acqua.
      Questo stato di transizione, questo periodo di acclimatazione novella, quella specie d'intirizzimento fisico e di stupefazione morale, durarono una settimana. Regina piangeva pių spesso che non parlava. Ma quella settimana trascorsa, della zingarella non restava pių che l'istinto.
      Il dottore si trattenne un mese a Napoli, poi si rimise in viaggio per la Svizzera. Viaggiando, e' raccontō a Regina, o piuttosto le apprese, l'istoria della di lei famiglia. Le parlō del padre, della madre, degli antenati, ricamando tutto codesto di circostanze assai naturali per spiegare alla figliuola - o meglio a coloro cui questa l'avrebbe poscia raccontato - la di lei vita nomada: come e per qual motivo ella era stata rubata dagli zingari; poi come ella era stata scoverta e riconosciuta dallo zio e messa in libertā.
      Il romanzo era ammirabile di verosimiglianza, come lo sono spesso i romanzi - perchč il dottore aveva tirato partito dalla realtā, dalla vita di Regina. Questa s'intenerė sopra sč stessa - forse restō ella pure convinta del racconto. In ogni modo, ella percepė di volo che codesto doveva essere raccontato cosė, e che il pių doveva essere obliato e taciuto.
      Il dottore collocō Regina in una pensione di damigelle protestanti nel Cantone di Berna. Raccomandō alla direttrice di non cacciar dentro al cervello di sua nipote nč mitologia, nč catechismo, nč storia sacra, nč storia greca e romana, nč nulla di quella congerie di stolidezze che s'insegna in Francia alle donzelle.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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