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      Non mai avesti tu più di vena. Tu sei ispirato, amico mio.
      - Esaltamento di febbre - replicò Sergio. Al postutto, ch'è dunque l'ispirazione se non una febbre cerebrale? Ed io ò due febbri: una alla testa, una al cuore.
      Regina fece un passo verso di lui. Ebbe una tentazione subita di gittarsi nelle braccia del marito e di dirgli: "Giudicami! ecco le mie colpe!" Ma ella credè di scorgere negli occhi di Sergio uno sguardo sinistro, una luce scura che l'arrestò. Volse quindi il dorso in silenzio e se ne andò lentamente a preparare il the.
      Sergio seguilla degli occhi con ansietà. Si avrebbe potuto leggere sul suo sembiante il desiderio di richiamarla... Si astenne. Invece, sporse la mano e preso tutto il manoscritto cui Regina veniva di terminare.
      Questa ritornò tosto col the.
      Sergio poggiò la tazza sul mobile vicino al suo letto, e, leggendo sempre la scritta della moglie, o sorbendo a centellini la bevanda profumata, le disse:
      - Andremo a continuare.
      - Dammi i fogli allora - rispose Regina.
      - Prendi un altro quinterno - replicò Sergio senza levar gli occhi dal manoscritto.
      - Non v'è che della carta a lettere.
      - Ma! la carta a lettere è pur della carta, perdio! - sclamò Sergio con impazienza, leggendo sempre. - Scrivi dunque.
      Regina prese un foglietto, e, la penna in aria, aspettò in silenzio che suo marito dettasse.
      Sergio continuò:
      L'è troppo tardi, amico mio. Tu m'ài colpita del tuo disprezzo e m'ài minacciata di abbandono. La calunnia mi à ferita. Io sono sola. Non posso dunque lottare; non voglio più restare in piedi nella lotta.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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