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      Potendo pagare dei professori liberi, non si sommise alla severa disciplina della massoneria delle università germaniche. Non accettò dello studente che ciò che gli piacque - vale a dire l'abito, le maniere, la vita di studio mista alle dissipazioni, le libere aspirazioni, i vaneggiamenti elevati - quella mischianza, insomma, di metafisico e di artista che si trova accoppiata negli allievi istruiti delle scuole tedesche.
      Non s'imbragò guari nè in teologia, nè in diritto, nè in pedagogia. S'innamorò invece dello studio della fisiologia, della chimica, della fisica. Poi, per una tendenza verso il soprannaturale che gli era propria, si cacciò capo giù nelle scienze mistiche e nelle speculazioni ermetiche.
      Il professore di Tubinga, che lo dirigeva, era forte addentro a queste scienze e vi credeva coscientemente.
      Il carattere di Pietro, di già sì serio, addivenne quinci in poi più grave e più scuro.
      Un incidente lo immerse affatto nella tristezza.
      Un giorno, a Heidelberg, e' venne a parole con uno dei suoi amici, a proposito d'una ragazza incontrata in un ballo. Si batterono alla spada. Si batterono da bravi. E sì bravamente, che, al terzo assalto, caddero entrambi nel medesimo tempo: Pietro, per svenimento; il suo avversario passato fuor fuori.
      Ciò fu fatale al giovane principe di Lavandall.
      La sua salute si alterò. La sua pallidezza aumentò di giorno in giorno. I suoi occhi perdettero il bagliore della giovinezza. Le sue guance smagrirono. I suoi lineamenti, completamente alterati, divennero di un tratto più maturi.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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