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      Un mese scorse.
      Esso era sembrato un'eternità alla vecchia principessa, che l'aveva passato mezzo a sbadigliare, mezzo a correr dietro al suo giovano marito. Il quale, a volta sua, correva dietro alle giovani contadine del principe, quando non era ubbriaco. Questo soffri-amore di una civetta di cinquantatre anni, imbalsamata di divozione e d'ambizione, avrebbe destato pietà, se non fosse stato ridicolo.
      Non avendo dunque ad esercitare nè l'ambizione, nè la civetteria, nè la divozione a parata, in quel tetro castello di Lavandall - ove un giovane sole esso stesso spegnevasi - la principessa Antonietta parlò di ritorno a S. Pietroburgo, onde assistere alle ultime feste della stagione.
      Il suo figlio primogenito non la ritenne.
      Il suo figlio cadetto la sollecitò a partire, promettendole di andarla presto a raggiungere.
      Ed il conte polacco la rapì quasi, vedendosi sorvegliato da vicino - in questa residenza di provincia - dal suo terribile dragone.
      Partirono.
      Alessandro restò.
      Chi lo ritenne?
      L'affezione per suo fratello.
      Egli ignorava la ragione delle cose; ma aveva tutto indovinato: l'amore del principe per sua moglie; la pietà di Maud per suo marito; la loro vita solitaria e separata, in quell'appartamento che simboleggiava agli sguardi del mondo un nido di amore. Alessandro aveva intravisto che un abisso divideva questi due esseri, cui scorgevansi traversare insieme il cammino della vita.
      Una circostanza però gli porse ben presto il filo di Arianna del mistero che lo investiva.
      Dopo la cessazione delle feste e la partenza della vecchia principessa, la calma rientrò nel castello di Lavandall.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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