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      Il principe contemplava il respirare delle onde; ma non scorgeva nulla. Imbaccucato in ampia pellicia, egli meditava, o piuttosto continuava il vaneggiamento che l'assorbiva da otto giorni. E' non si accorse neppure dell'arrivo di suo fratello.
      Il conte Alessandro, da che scorselo da lontano, accelerò il passo, discese da cavallo, ed avanzò verso il principe, gridando:
      - Eccomi qui, Pietro.
      Il principe fece una mossa come qualcuno che si risveglia di soprassalto, e fissò il suo sguardo freddamente violento e acuto sul sembiante aperto del giovane.
      Il conte gli aveva tesa la mano.
      E' non toccolla.
      - Pietro - disse il conte un po' sconcertato dell'attitudine sinistra di suo fratello - mi avete fatto avvertire di venirvi a trovar qui. Sono felice di vedervi.
      E stese di nuovo la destra, cui il principe si astenne dallo stringere.
      - Conte Alessandro di Lavandall - sclamò egli infine di una voce lenta e cavernosa - avevate desiderato di conoscere il mistero della mia vita. L'avete conosciuto; l'avete visto.
      - Fratello - mormorò il conte mettendosi le mani sul volto - io ne sono annientato.
      - Io pure - continuò il principe senza porre mente alle parole del fratello - io pure, io, voleva sapere. O' saputo; ò visto.
      Alessandro impallidì e traballò.
      - Ebbene - soggiunse il principe - poichè vi aveste il malanno di avvicinare le vostre labbra a questa coppa di fango e di lagrime, cioncatela tutta, fino alla belletta. Sappiatevi il resto.
      Alessandro incrocciò le braccia sul petto, e restò impiedi, lo sguardo al suolo, l'aria costernata.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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