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      - Sono io - dicevasi egli - che ò cominciato la distruzione di questa bell'opera di Dio, e che vado a compierla. Io, che sarei morto ai suoi piedi, come un giusto, per ottenerne un solo sguardo di pietà! Io le fo orrore. Io sento sprigionarsi da tutta la sua persona un fluido che mi respinge. Io mi consumo alla sua contemplazione, e mi spegno. Dio mio! poteva un uomo dare ad una donna più vaste prove di amore che io ne diedi a costei? Io ò ucciso mio fratello, per causa di lei... Però, se le parlassi ancora? Io vorrei strapparle almeno questa parola: Ti odio! Sopra una donna che odia si à una presa. La si può infine attirare, domare, tenerla. Un'ipocrita, come costei, è uno spettro che sfugge quando credesi di afferrarlo. Sì: che la mi dica almeno: Io ti odio! Ciò sarebbe un balsamo per la mia coscienza. Io potrei rispondere: Continua, tu fai bene; consuma la tua opera e muori con la gioia dei demonii... Ebbene, saggierò ancora una volta. Condannato, dimanderò una dilazione. Che io mi arrivi almeno a comprenderla!
      Questa risoluzione presa, il principe spiò un'occasione propizia. Trattavasi conoscere l'ultimo verbo del suo destino.
      L'era una bella mattina di ottobre. Il principe, steso sur un voltaire, s'inebriava di sole innanzi ad un balcone che sporgeva sul giardino, centellando una tazza di thè e bruciando un sigaretto. Sulle sue ginocchia, nascosto a mezzo da una veste da camera di nero velluto, poggiava aperto un volume delle opere di Humboldt.
      Ivan introdusse il dottore di Nubo ed avvicinò una poltrona.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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