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      I suoi capelli erano neri; ma si rizzavano come stecchi da per tutto e sfidavano le leggi del pettine. Le sue mani erano piccoline; ma si aggrinzavano in uno stato di agitazione perenne: lo si sarebbe detto un cavaliere d'industria! La sua taglia era pieghevole e fina; ma teneva meno dell'ondulazione graziosa della donna, che dello slancio della pantera. La sua fronte era alta; ma poi indietreggiava bruscamente come quella degli animali della razza felina. La sua statura era piccola; ma il suo portamento era così altero che ne imponeva come un gigante.
      Guai a chi si fidava alla dolcezza della sua voce, alle carezze della sua parola, all'eleganza de' suoi gesti, alla gentilezza delle sue maniere, all'assicuranza del suo attaccamento, alle melodie del suo amore e della sua amicizia! Il principe di Tebe era Tartufe soppannato da Cartouche - un duca d'Alba azzimato in Wilberforce! Lo si poteva paragonare a quei bei guanti cui faceva preparare Caterina dei Medici: mortali per chi li metteva! o a quelle lettere di amore che inviavano certe patrizie italiane del XVI secolo: che avvelenavano gli sgraziati che le aprivano!
      Quante storie non si raccontavano sugli amori del principe di Tebe, tutti terminati con l'assassinio?
      Gli è vero, però, che erano i gesuiti i quali mettevano in circolazione tutto codesto.
      Il principe di Tebe, steso sur un canapè, contemplava, la voluttà negli occhi, un martirio di S. Sebastiano di Annibale Caracci, quando il principe di Lavandall gli si avvicinò(24) e gli disse:


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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