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      - Dimando mille scuse a Vostra Altezza Reale se ò avuta la sfortuna di farla aspettare. Mi trovavo nella mia sala d'armi...
      - Non importa - interruppe il principe di Tebe.
      - Perchè Vostra Altezza, d'altronde, non mi à fatto l'onore di chiamarmi presso di sè?
      - Perchè io sono in un albergo, - e la camere d'albergo ànno tutte delle orecchie. Ora, io ò a parlare con voi di cose che, anche in questo vasto salone, esito a comunicarvi.
      - Vostra Altezza può favellare senza tema. Nonpertanto, se Vostra Altezza desidera intrattenersi meco in un gabinetto più solitario ed appartato, avrò l'onore di mostrarle il cammino.
      - Sì: credo che ciò sia meglio. Quando si vuol essere un po' sicuri del silenzio, meglio vale veder le parole palpitare sulle labbra anzi che udirle.
      Il principe di Lavandall si alzò e condusse il fratello del re Taddeo in un gabinetto che sporgeva sul giardino, vicino al suo gabinetto di lavoro - ove egli si ritirava per redigere i suoi dispacci particolari allo Czar.
      L'era una stanzuccia ottagona, tappezzata di lampasso verde, guarnita di una biblioteca, con un divano comodissimo per meditare, due seggioloni e quattro quadri: i ritratti di Nicola e della czarina a mezzo busto, un'Anima di Scheffer, ed un clown impiedi innanzi ad un piccolo cadavere, di quell'Hamlet della pittura che chiamasi Delacroix.
      Il principe di Tebe si allungò sul divano, fece segno al signor di Lavandall di sedersi rimpetto a lui e disse, dopo qualche minuto di silenzio:
      - Arrivo dalla Russia.
      - Lo so, monsignore, io vi aspettava.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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