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      Caro cugino,
      Io scrivo a V. M. un'altra lettera per mezzo dei miei ministri. Con questa, io mi indirizzo direttamente al figlio del fratello di mio padre. Gli è dire, che io desidero che il mio grido di uomo trovi un'eco nel cuore del parente, o che vi resti sepolto.
      Io sono in presenza della crisi la più spinosa del mio regno, sì pieno di accidenti. Io traverso il ponte dell'avvenire: affronto la questione della successione, in presenza dalla quale la Provvidenza divina à voluto collocarmi per provarmi - ripigliandosi i figliuoli che impartiti mi aveva. Se avessi avuto, per compenso, in questo immenso disastro, l'affetto di mio fratello, mi sarei forse consolato di un dolore che uccide perfino i più forti. Ma l'Europa intiera, sgraziatamente, sa come la mano del Signore à posato gravemente sulla mia casa, anche da questo lato, ed à appreso i pericoli che ò corsi. Non ò avuto prove materiali sufficienti. O' però la certezza morale, che quel fratello snaturato à attentato parecchie volte alla mia vita. E sono convinto, che la mia vita non cesserà di essere in pericolo contro quelle aggressioni, se non il giorno in cui io mi avrò una successione legittima diretta.
      Ecco quali considerazioni - oltre quelle dei miei popoli, della pace o della gloria della religione - mi ànno deciso ad implorare l'aiuto del Signore per un secondo matrimonio. Io tento Iddio. Imperocchè, quantunque la mia età di 54 anni non sia eccessiva, per l'opera satanica del principe di Tebe io posso considerarmi come estinto alla vita.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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