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      Il matrimonio era stato per lei un mandato impostole da sua madre, cui ella compieva. Il suo cuore era restato estraneo a quel mercato.
      Ella non portava nella ragion sociale del duca di Balbek che la sua bellezza, la sua virtù, ed un centinaio di mille franchi, alla morte di sua madre. Ella non doveva dunque nulla al di là - oltre l'adempimento del suo dovere. Ridotta a questo còmpito, ella vi si era assiepata bravamente, la calma negli occhi, il sorriso sulle labbra. Ella non era risponsabile innanzi al mondo dalla sua vita inferma - e forse delle lagrime del suo cuore! Che importava, del resto, al mondo che vi fosse in quel seno una festa o un lutto! Basta che, scollacciato con arte e splendido - vale dire quasi nudo - esso abbagliasse gli sguardi nei balli, e che alcun uomo, il duca tranne, non potesse dire: Io l'ò sfiorato delle mie labbra!
      Vitaliana si era formata un'idea esagerata del carattere, della dignità, dell'onore, della posizione sociale, delle funzioni di suo marito. Ed aveva proporzionato a quest'idea il sentimento del suo dovere.
      Le donne, d'ordinario, misurano la loro colpa alla loro propria dignità. Forse che, se il carattere del marito fosse preso per campione, l'adulterio sarebbe più raro - per la semplice ragione che nel marito non vi è solamente l'uomo, ma il cittadino.
      Vitaliana comprendeva così la virtù coniugale.
      D'altra banda, ella avrebbe creduto mancare alla probità del contratto conducendosi diversamente. Imperciocchè ella considerava suo marito come l'incarnazione la più elevata dell'onore.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





Balbek