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      Ora, come lord Westmoreland era miopissimo, ed il conte di Tonningen era soggetto a distrazioni, il principe Lavandall fece preparare il loro tavolo verde in un salottino particolare, ove, la porta chiusa, i giuocatori non sarebbero stati distolti dai curiosi che fan di ordinario galleria intorno alle tavole a whist. Eccoli dunque istallati, il duca di Balbek giuocando con l'ambasciatore di Prussia, ed il dottore avendo per partener quello d'Inghilterra. Il duca ed il dottore giuocavano così in certi saloni, perchè, alla fine della serata, liquidavano tra loro benefizi e perdite. Al club, al contrario, erano sempre partener. La sorte si era mostrata neutra. Le partite si erano succedute e moltiplicate, ma con poca differenza dalle due parti. Le perdite si equilibravano quasi. - Gli assalti di sala d'armi son belli - diceva il dottore forbendo i suoi occhiali - ma, è d'uopo convenirne, gli occhi si stancano a seguire quelle punte di fioretto che cercano inesorabilmente il vostro petto. - Gli è vero! - sclamò lord Westmoreland, nettando a sua volta le sue lenti. - Se respirassimo un istante dopo questa partita - riprese il dottore, con quella famigliarità comoda che i medici pigliano dovunque naturalmente. - Possiamo cessare, dottore, se siete stanco - interloquì Balbek. - Si riposa pure - replicò il dottore - cangiando di occupazione. Un giro di pharaon ci rinfrancherebbe altrettanto. Che ne dite voi, milord? Ciò vi va, signor conte? - Perfettamente - risposero i due ambasciadori.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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