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      Il sorriso provocava. La respirazione soffocava la parola.
      Morella servì ai suoi ospiti un liquore di oro, il quale sembrò, quando lo si ebbe cioncato, un fiotto di lava incanalato nelle vene.
      Un'altra carola delle baiadere, più strana ancora, rigettò i tre ambasciatori e le loro dame verso i divani, verso i bocchini di ambra dei vasi, ove il tabacco e lo hatchich bruciavano.
      Alla musica nascosta e soffice che non cessava di suonare, si aggiunse adesso una voce vellutata ed artisticamente velata, che respirava piuttosto che non cantava una strofa di Anacreonte, tradotta da Alfredo di Musset.
      Quella strofa imprudente esprimeva, in parola, i voti dei tre uomini. Le braccia delle baiadere e delle tre giovani donne si allacciano attorno ai tre pascià, per i quali Morella realizzava un delirio delle Mille ed una notte.
      Di un tratto la musica, fin lì così tenera, sì riservata, scoppiò come una bordata di cannoni. Essa mise fuoco alle polveri!
      Tutti non fecero più ch'uno.
     
      Fra la mezzanotte e l'una del mattino, la porta di mezzo nel salone si aprì a due imposte, e sulla soglia si fermarono il principe di Lavandall e Vitaliana.
      Di un solo ammiccare, questa vide tutto. Di un solo urto al cuore, ella comprese tutto altresì.
      Vitaliana aveva appreso e sentito in un baleno ciò che una donna del mondo, a trentasei anni, più non ignora!
      L'ebbrietà aleggiava sull'intero quadro, e faceva di quella gioventù, or ora piena di vita, come dodici corpi inerti.
      Era poi lo hatchich?
      Il duca di Balbek appoggiava la sua testa sul seno di Morella - rovesciata sur un monte di cuscini.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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