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      Che ò fatto io per essere messa a queste prove! - gridò Vitaliana, mentre le lagrime nuotavanle negli occhi.
      - Addio, duchessa - disse Lavandall, alzandosi. - Io sono ai vostri ordini.
     
      La coppa travasava.
      Vitaliana restò un'ora immersa nell'annientamento. Un sospetto aveva sfiorato il suo spirito sulle intenzioni del principe di Lavandall. Ma ella aveva creduto tutto ciò che colui aveva detto contro suo marito.
      Si crede anche l'impossibile, anche l'assurdo delle persone che si amano, disprezzano od odiano.
      Da tutto quel riflettere pertanto risultava questo: carte per carte! Ora, quelle carte salvavano l'onore di due fanciulli. La madre poteva essere colpevole; il padre poteva essere infame. Dove era la colpa del figliuolo di Bianca e del suo proprio figliuolo? Figlio di un ladro! Oh! una madre metterebbe il fuoco al paradiso per cancellar questa vergogna, impedirla.
      Dimandò a vestirsi.
      Due ore dopo, il suo lacchè suonava alla porta del conte di Alleux.
      Adriano sapeva di già tutto.
      Maria lo teneva al corrente, da un anno in qua, di tutto ciò che concerneva la sua padrona.
      - Annunziate al signor conte sua cugina, la signora duchessa di Balbek - disse il lacchè al domestico di Adriano.
      Vitaliana entrò e si trovò in un largo corridoio, ove si aprivano quattro porte e cominciava la scala che guidava al piano superiore.
      Il domestico, interdetto, non sapeva ove introdurre Vitaliana.
      Questa, non volendo aspettare in un corridoio, e vedendo da una porta socchiusa alla sua destra, qualche cosa come un salone, vi si cacciò dentro di un tratto.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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