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      - Tu vedi! - mi diss'egli. Quei serpentelli avrebbero morsicato al tuo braccio e ti avrebbero inchiodata lì. - Ma allora e' debbe esservi un segreto di dentro - sclamai io. - Sì - rispose egli, toccando un punto che fece rientrare immediatamente le sei lingue di vipera che avevano ghermito il bastone. - Quel quadrante è una toppa. Per aprirla, bisogna toccare le lettere che formano un nome. - Quale? domandai io. - Quello di Bianca - rispose egli esitando. Io mi accostai allo stipetto, toccai le lettere che componevano il nome, ed una tavoletta rientrò, lasciando in vista un tiratoio. Il duca conservava quivi i suoi crachats, i suoi gioielli, i suoi danari, delle cedole di Banca. Un sacchetto in velluto violetto attirò i miei sguardi. Lo presi. Egli me lo strappò di mano, dicendo: - Sono quivi delle carte di mia madre. E lo rigettò nello stipetto, cui chiuse affatto. Ora, quelle carte di sua madre non sarebbero desse quelle piuttosto di cui egli ora traffica?
      - Gli è evidente.
      - Ma il mobile, oltre la toppa a segreto, à una chiave che lo chiude di fuori. Io non ò quella chiave, cui il duca porta sempre nelle sue tasche.
      Adriano riflette qualche poco, poi disse:
      - Vitaliana, io veggo in tutto codesto un viluppo di fatti, di circostanze, di voglie, di non so che, insomma, cui non afferro bene. Egli è impossibile di pigliare una risoluzione istantanea. Bisogna considerare le cose ponderatamente. Il duca è infame e capace di tutto. Ma gli altri non valgono guari meglio. Vi è forse qui dei gonzi e dei gabbatori.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





Bianca Banca