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      Adriano si sentì rinfrancato.
      Alla fin fine, che aveva egli fatto?
      Aveva sottratto dei documenti al duca di Balbek. Ma quell'atto indegno aveva uno scopo che era santo.
      La morale astratta è assurda!
      In mezzo alla gente che si aggirava intorno a Vitaliana, non uno sembrava puro al conte di Alleux.
      Egli indovinava ciò che non sapeva. Sospettava di quelle cortigiane, di quegli ambasciadori, di quei re, di quella regina, di quel principe reale, di quei valletti, di quella plebe diplomatica ed aristocratica... egli li sospettava tutti più o meno punticci e scapitati!
      Una sola creatura rimaneva ancora immacolata su quel letamaio: Vitaliana. E le si dimandava di rubare le carte segrete di suo marito, e di consegnarle ai suoi nemici!
      Ella si apparecchiava a commettere quell'atto abbominevole per salvar l'onore di suo figlio, innanzi tutto; poi quello di una regina; poi la corona di un figliuolo adulterino; poi un popolo dalla guerra civile; poi il nome di suo marito - esso stesso, ed il nome cui ella portava. Ciò era grave. Ciò tentava quel nobile cuore. Ma il suo atto sarebbe desso stato meno un furto per questo?
      Ecco la cosa.
      Il furto macchierebbe desso quell'anima?
      Ecco la quistione.
      Adriano ebbe pietà di lei.
      - Ella! È mestieri ch'ella arrivi pura nelle mie braccia - si disse egli. L'amore purifica sempre, quando è disinteressato di ogni altro obietto che l'amore stesso. L'amore non macchia giammai. Nelle mie braccia ella non sarà contaminata. Ma se dessa ruba?... Non mai. Se codesta necessità è inesorabile.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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