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      Io non so se giungerò a strappare dagli artigli del Russo la dichiarazione firmata da voi. Ma l'è questa l'ultima delle mie preoccupazioni. Vostra moglie è vedova, da ieri in qua. Vostro figlio sarà, a partir da domani, non più il duca di Balbek, ma il conte di Meuge. Che il vostro nome resti o no contaminato innanzi al pubblico, ci cale men di nulla. Perchè, per noi, non è il mondo che determina il delitto: gli è il delitto stesso che ci fa orrore. Che la vostra infamia resti nascosta, voi non siete meno, agli occhi nostri, un codardo, un ladro, uno scroccone, un brigante che si mette in agguato armato di scritte delicate, e grida ad una regina: la borsa o il trono! Noi vi disprezziamo. La vostra presenza ci è divenuta intollerabile, ci fa nausea. Capite voi questo?
      - No. Ma terminate.
      - Ebbene, voi avete un mese di tempo per dimandare ed ottenere dal vostro governo la vostra rimozione da Parigi. Se, a capo di questo tempo, voi non siete scomparso da questa città, solo, senza moglie e senza figliuolo, io vi schiaffeggio la sera e vi uccido l'indomani. Voi venivate a domandarmi probabilmente un duello. Voi avete visto che vi accordo un mese d'esistenza - perchè non voglio imbrattarmi le mani di un simile sangue. Ecco.
      Il duca, che era stato assiso durante questa scena, si alzò e disse:
      - Una parola ancora, per mio governo, signore. Gli è la virtù sdegnata sola che vi detta quei propositi?
      Adriano si fermò di botto. Era stato colpito in mezzo del petto. Esitò un istante a rispondere; poi, senza nulla dire, indicò del dito la porta al duca e si assise.


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I suicidi di Parigi
Romanzo
di Ferdinando Petruccelli della Gattina
Editore Sonzogno Milano
1876 pagine 440

   





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