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      Dopo ventidue mesi fummo giudicati e, se fummo rimandati assolti dalla scomunica, la sentenza tuttavia ci impose di fare alcune penitenze particolari, come digiuni e preghiere per un certo tempo e confessarci e comunicarci quattro volte all'anno; e di più ci condannarono al carcere perpetuo. La Congregazione tuttavia si riservava di diminuire la pena in tutto o in parte, se gli paresse e piacesse.
      Questa sentenza ci costernò tutti, poiché il più vecchio di noi (eccettuato l'abate Oliva) non aveva più di trentadue anni e quel che potevamo sperare di meglio era di uscir di carcere dopo quindici o vent'anni di penitenza. Tanto significa il tenore della sentenza; così che, dopo esser stati tanto tempo sepolti, non so se a cinquanta o sessant'anni, età incapace di fatiche e d'impieghi, si dovesse desiderare d'uscire da quella tomba di vivi. È certo che, quanto a me, se Dio non m'avesse inspirato il disegno di fuggire, nel quale m'assisté visibilmente, dopo tanti anni di carcere avrei supplicato la Congregazione di lasciarmici finire il resto della vita per non essere esposto a una disgraziata vecchiezza. Poiché, per quanto la libertà sia preziosa, è certo che, riavendola a sessanta anni e dopo esser stato spogliato de' beni tutti di fortuna, non può consolarci dei mali in cui la povertà e l'età che declina ci riducono, rendendoci inutili agli altri ed a noi stessi.
      A questo punto della relazione pregai molto il signor Pignata perché mi dicesse la causa del suo imprigionamento e il delitto di cui egli e gli amici suoi furono accusati.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





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