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      Alfonsi era del mio parere. Tutte le notti parlavamo di questo, poiché la sua camera era attigua alla mia, e convenimmo di domandare un'altra volta che ci mettessero insieme, ma in una camera che da lungo tempo desideravo vivamente d'avere, la quale, benché chiusa, era precisamente in un angolo del palazzo del Sant'Uffizio che guardava il portico di San Pietro. Tanto pregammo che ci rimisero insieme nella camera che desideravo, e quando mi ci vidi dentro, la mia gioia fu così grande e viva che mi parve d'aver già rotto le catene e di non veder più ostacoli al progetto della mia liberazione.
      Allora io interruppi e chiesi al Signor Pignata perché desiderasse quella camera piuttosto che un'altra.
      Non era egli sempre in prigione?
      Egli è - mi rispose - che di tutte le altre camere, quella sola non aveva al di fuori né fossa né giro di mura. Queste sono alte trenta o quaranta piedi al di dentro, ma nella nuova camera, quando avessi forato il muro per fuggire, sarei sceso subito nella strada pubblica senza esser chiuso da mura o da fossa, come sarebbe accaduto in qualunque delle altre camere. Di più, avevamo quasi come tre camere. La prima, assai piccola, serviva d'ingresso, e la seconda, più larga ma oscurissima, non aveva luce che dalla terza, la quale aveva la finestra sul cortile di cui ho parlato. Questa oscurità della seconda camera, che veramente era incomoda, era invece comodissima pel nostro progetto, poiché serviva a nascondere i buchi che potevamo fare.
      In quel tempo un fratello9 che avevo a Gratz, al servizio del principe d'Eckenberg, venne a Roma per metter qualche rimedio alle faccende della nostra famiglia che andavano assai male, e per consolare un poco nostra madre, afflitta dalla sua assenza e dalla mia disgrazia.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





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