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      Ma bisogna tornare al racconto.
      Avevamo parlato spesso, Alfonsi ed io, della strada da prendere quando fossimo fuggiti, e si rimase d'accordo che il meglio sarebbe d'andare verso Firenze e di là a Genova; quindi, entrati in Francia o per mare o per terra, secondo l'occasione migliore fermarci a Lione od a Marsiglia sino a che avessimo potuto far sapere il luogo della nostra dimora ai parenti nostri perché ci mandassero denari. Sopratutto avevamo concertato di camminare solo la notte e di rimanere il giorno nascosti ne' boschi, nei fossati o luoghi simili, secondo ci sarebbe sembrato meglio per sfuggire a quelli che ci avrebbero inseguiti per riprenderci. Spesso avevamo anche ragionato sul modo di scendere colle corde e sapevamo già per esperienza che è necessario stringere bene la corda anche colle gambe per scendere più dolcemente e sicuramente. E l'avevamo anche sperimentato parecchie volte annodando assieme le cinture delle nostre vesti da camera e attaccandole alle inferriate delle nostre finestre che erano molto alte e scivolando abbasso con molta facilità. Tutto ci riusciva benissimo. Pareva che bastasse provare.
      Poiché tutto si annunciava favorevole alla fine de' nostri guai, mettemmo l'animo in calma, tanto che mi diedi tranquillamente a sciogliere il mio voto; quello di mandare uno de' miei lavori all'altare della chiesa delle monache di Campo Marzo. Finii il lavoro il 25 ottobre 1693. Chiesi il permesso di mandarlo e dopo che il Commissario e tutta la Congregazione l'ebbero visto ed esaminato per due o tre giorni, mi fu accordato.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





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